domenica 22 marzo 2009

La madeleine, o Mega Man (megamén)...

Avete presente la madeleine di Proust, o il suo cespuglio di rose - insomma quella cosa che, tutto a un tratto, vi schiude un passato di ricordi vostri, quel sapore/odore/l'accadimento o chissà cos'altro che vi permette, in un lampo, di tornare a una parte della vostra vita quasi come se l'aveste appena vissuta - l'avete presente? Bene, a me oggi è successo con Mega Man. Megamén, per quelli come me (se volete una panoramica, eccola) è anzitutto una cartuccia del Nintendo, il primo, quello quadrato con le cartucce da infilarci dentro e i joypad che ormai tutti dicono stilosissimi, con quella forma memorabile, tanto che il profilo ormai lo stampano sulle magliette dei tipi cool della sinistra radical chic, per intenderci. Insomma, il Nintendo senza specifiche, perché quelli dopo sono stati Nintendo 64, SuperNintendo e via dicendo. Il Nintendo. Comunque, oggi ho giocato a Mega Man con un emulatore per Macintosh che ho scoperto da poco, e tutto a un tratto ecco che mi sono ricordato di un albero di natale. Un Natale degli anni Ottanta, quindi le tappezzerie e i mobili anni Settanta e la moquette sono di poco passati di moda, ma in qualche casa resistono. Nel salotto dei miei genitori qualcosa infatti rimaneva. L'albero di Natale comunque è vero - a casa dei miei lo è sempre stato - e lascia cadere qualche ago di pino, e per la Befana li avrà persi più o meno tutti, facendo impazzire mia mamma e l'aspirapolvere. Questo Natale è un Natale in cui ho già scoperto la maledetta verità su babbo natale (un paio d'anni prima lo avevo aspettato la notte della Vigilia nascondendomi dietro una poltrona, armato di un retino per pesci rossi, e l'hanno dopo avevo smascherato i miei con domande dirette - ma questa è un'altra storia), e so anche che regalo mi aspetta, probabilmente. Perché l'ho chiesto fino allo sfinimento, come solo un ragazzetto sa fare. Quando il pacco quadrato si materializza sotto l'albero, poi, ne sono quasi sicuro, e il pacco arriva quasi una settimana prima. E allora il pensiero, la vulìa comincia a tormentarmi. giorno dopo giorno. Una tentazione irresistibile, vera, perché ciò che dice l'istinto in quegli anni non può essere mai sbagliato. Ora, io non so che giorno fosse, ma sospetto il 22, e quella mattina metto il termometro vicino al calorifero, ché di mattina presto sono caldi, e faccio finta di non sentirmi bene. Mamma e papà vanno al lavoro, torneranno nel tardo pomeriggio, e io sto a casa da scuola a curarmi, perché tra poco è Natale e mica posso stare male, e poi abitiamo davanti all'appartamento dei nonni, e quindi ci pensano loro a darmi un occhio. Così finisce che trascorro l'intera mattinata seduto davanti all'albero di Natale - non guardo neanche l'A-Team e BoEliùc e non leggo neanche una pagina di libro-game. Sto lì, seduto sulla moquette, a scrutare il pacco. E dentro sento montarmi un senso di colpa manco fossi Giuda (ero molto suggestionabile, e le storie di chiesa mi infiammavano l'immaginazione). Ma avverto pure una voglia disperata. Perché il mio Nintendo è arrivato, finalmente, ma è arrivato in ritardo. Gli altri amici lo hanno già da molto tempo e  i miei hanno potuto permetterselo solo quest'anno. E quindi sono lì, seduto, e ci rimango fino a mezzogiorno, quando, malgrado la colpa allo stomaco, cedo. Mi alzo, allungo le mani. E poi non perdo tempo. Scarto il pacco facendo bene attenzione, perché poi dovrò rimettere a posto tutto, e mi do da fare. è lui. Sì. La scatola quadrata contiene davvero il Nintendo. Quello vero. Quello quadrato col joypad e la pistola. E un gioco in più che ho chiesto tanto perché ci ho giocato a casa di un amico, mi pareva si chiamasse Marco e suo padre faceva il meccanico. Non ce la faccio più. Ho sognato di giocare a quel gioco per mesi. Guardo tutto il necessario, cavi & consolle & joypad & istruzioni, e comincio ad attaccare tutto al televisore, perché fin da piccolo sono bravo, con le apparecchiature. Poi il rumore sul pianerottolo. Corro a vedere se la porta è chiusa. Lo spioncino. Nessuno. Allora torno, accendo la tele, accendo la consolle, e infilo la cartuccia. 
E faccio una partita, una soltanto. A Mega Man 2. Da tanto sono schiappa sarà durata una decina di minuti. Ma mi sento come non saprei dire mai. Poi, quando sto giocando l'ultima vita il campanello suona; è mio nonno, è venuto a vedere come sto. Allora io con l'affanno corro vicino alla porta e continuo a ripetere "un attimo, un attimo nonno, non trovo le chiavi". Lui deve annusare qualcosa, perché tace e si allontana. 
A questo punto il ricordo si confonde, forse perché la rapidità con cui ho rimesso tutto a posto e la paura che provo sono quasi insostenibili per il grassottello scimmione suggestionabile ed emotivo che sono me. Poi nella toppa della porta d'ingresso gira la chiave. Mio nonno entra e mi trova lì davanti, le chiavi in mano. "Le avevo trovate", dico. Sono sudato. Mio nonno mi guarda, mi poggia la mano sulla fronte, sente il sudore e dice: "A letto, che ti sta tornando la febbre." Sorrido quasi. Una sola partita. 
Una sola. L'ho voluta più di ogni altra cosa, quella partita, quel Natale. Il  25, quando ho montato tutto "ufficialmente", ho sorriso lo stesso; non solo per la contentezza, però, ma anche per il segreto che custodivo gelosamente in me. Per quell'infrazione alle regole. E quella sensazione, quella voglia che monta fino a farsi insostenibile, ancora oggi mi dice se qualcosa la voglio davvero; il ricordo di quel 22 di dicembre mi dice se voglio qualcosa o se mi sto facendo solo prendere dall'ennesima fissazione, dall'ennesima stronz**a che tra un paio di giorni mi dimenticherò ma che ora, in balia di me stesso e della reclàm, come diceva mio nonno, mi pare necessarissima. E che magari non posso manco permettermi. Insomma, ognuno ha i suoi punti fermi. E di certo Medamén m'è servito più del catechismo e delle maestre sessantottine...

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