lunedì 26 gennaio 2009

TuttiPazziPerAmore (e di FabioFazio non se ne può più!)

Ieri sera, dopo aver bevuto cuba libre (che 3/4 dei presenti non beveva da almeno un anno), si son mangiate mezzemaniche rigate con stoccafisso e pomodorini freschi. Dopodiché la pubblica RAI ci ha riempito la serata cullandoci maternamente da un estremo all'altro: dal tediosamente brutto al piacevolissimo, da CheTempoCheFa a TuttiPazziPerAmore.

A cena terminata, mentre qualcuno sparecchia, qualcuno lava i piatti e altri scuotono la tovaglia, la tivù infatti si sintonizza su Rai2 e incappiamo in Fabio Fazio che, dopo una chiacchierata col bibliofolle Mughini, intervista Carlà Brunì, prodigandosi in elogi e bocche aperte. Io lo ripeto da più di un anno, che Fazio non si sopporta più, che il suo perbenismo radical chic è lontano da una pur vaga idea di bellezza e che non c'è niente di sinistra o di culturale nell'essere condiscendenti e celebrativi, e che le TELEVENDITE di libri e cd di CheTempoCheFa non sono molto diverse da MediaShopping, se solo MediaShopping decidesse di intervistare l'inventore dell'articolo che propone: del tipo, l'inventore della selezione di 5cd di musica anni Ottanta non differirà poi molto dal collezionista Mughini, suppongo, solo che a vedere MediaShopping nessuno si sognerebbe di scrivere che si tratta di un "programma culturale". Comunque, a parte Carlà, che ha reso le cose peggiori per quella sua supponenza, per quella sua bocca stretta da culo di gallina strizzato e, in definitiva, per quel suo atteggiarsi da debosciata aristocratica (tutti ne hanno conosciuta una, in terza liceo), Fazio non ha fatto peggio di molte altre volte, e per commentarlo basterebbe quell'Aldo Grasso che ha già avuto modo di ricordare quanto fosse fuorviante paragonare il conduttore nostrano a David Letterman. Però forse non è sufficiente annotare solo ciò che dice Grasso, perché c'è dell'altro, e ci arrivo tra poco. Passando per quel Tutti Pazzi Per Amore di cui dicevo all'inizio. TuttiPazziPerAmore è la fiction di RaiUno realizzata da Publispei-Rai Fiction (ideata da Ivan Cotroneo, girata da Milani con uno stile di regia che svecchia di colpo vent'anni di prime-time per il mass target, e scritta da bravi sceneggiatori) che ha come protagonisti quella faccia-di-plastilina impareggiabile di Solfrizzi e la bella Stefania Rocca; la serie è così banale (etimologicamente: ciò che è divenuto costume...) nella normalità che racconta e così fresca e intelligente nel modo in cui racconta, così poco pretenziosa eppure così capace di dire cose e vicende che ci interessano, così eccezionale nei suoi momenti di psichedelia bolliywoodiana e nei siparietti con la bravissima Carla Signoris, da diventare fin dalle prime puntate una serie da ricordare. Memorabile, sotto certi aspetti (l'unica pecca che ci vedo è la poca povertà, ma a parte questo, i temi ci sono tutti...). E lo è, memorabile, soprattutto perché Piacevole, con buona pace dei residuati bellici del '68 e dei loro nipotini commentatori "illuminati": TuttiPazziPerAmore sarà pure pacificante e pacificata ma per il prodotto che è, Televisivo e di Intrattenimento, esprime una freschezza e un'intelligenza, una bontà di fattura e una libertà di dire, un'originalità che non si percepivano da almeno un decennio, qui nel Bel Paese.
INVECE, qualche minuto prima, all'altro capo del godimento-tivù, il sacerdote del tempio pop della cultura (radical-chic) Fabio Fazio si prodiga nell'ennesimo CheTempoCheFa: tanti elogi e storcimenti di naso, tanti applausi e tanti "che bravo/a" "io chi sono in confronto a lei", i troppi applausi, la Zucconi sempre fuori tono, un traduttore simultaneo dalla voce e dall'eloquio che ti fa addormentare durante ogni traduzione: insomma, un programma di ospiti e conduttore che vedono gente, fanno e parlano di cose, eppure non dicono niente (a salvare la baracca, solo Littizzetto e Albanese, e Mercandalli). Perché poi da Fazio capita una volta Tremonti, che per carità dio me ne scampi, e Fazio, che prova ad abbaiare, finisce solo per squittire, con Tremonti che fa la voce grossa rimettendolo al suo posto, riconfinandolo al suo ruolo: quello cioè di occasione, occasione per gli ospiti di parlare di sé e non di venire intervistati come personaggi pubblici. Ovviamente, nella serata-Tremonti, tra il gioco delle parti dell'intervistatore di sinistra e l'etic-economista illuminato di destra, non si dice niente, se non ripetere gli strilli di una settimana di prime pagine dei giornali. Che NOIA, che BARBA, far finta di voler capire! Ciò che più mi strazia di CheTempoCheFa - eccomi al punto, finalmente - però non è la noia, e neppure la mia intolleranza: credo che il guaio di Che tempo che fa sia nel suo pubblico di riferimento e nella pretesa culturalità. Fazio e gli altri autori del programma hanno infatti definito un'idea di pubblico con cui dialogare (molto simile a loro, è vero): gente più o meno di sinistra, vieppiù benestante o che non fa fatica ad arrivare alla fine del mese, più settentrionale che meridionale, che consuma prodotti culturali con frequenza, che è sempre con una lacrima pronta a colare per pietà ma che non ha mai imparato a piangere, che parla molto di cultura perché parlarne fa bello ma il più delle volte non ne sembra sinceramente interessata; e il peggio, l'ultima caratteristica di questo mostro di riferimento: gente rassegnata a storcere il naso e ad applaudire i pochi eletti. Allora forse è per questo che a me Che Tempo Che Fa ormai non piace proprio più: non è soltanto Fazio, che suo malgrado ha scritto due dei programmi tra i più originali degli ultimi decenni e che fino a qualche anno fa era certo molto bravo. Il problema sta nel pubblico di riferimento e di conseguenza nella confezione del programma, che con le parole e i modi di quel pubblico vorrebbe parlare (io penso di averne fatto parte, di quel pubblico di riferimento...). Però sono ottimista: siamo davvero sicuri che esista ancora, questo pubblico? A vedere gli ascolti sì, ma... INVECE TuttiPazziPerAmore, senza dirsi di destra o di sinistra, progressivo o conservatore, lib-lab o quale altra limitante etichetta partorita da un mondo di VECCHI e ANACRONISTICI e STANCHI commentatori culturali alla Mollica si voglia usare, riesce a raccontare qualcosa di noi italiani senza pretese di illuminarci, e con il solo scopo di renderci contenti, di appassionarci, di commuoverci, ché insomma un sorriso o un'emozione per una storia memorabile ogni tanto valgono di più di una frase pre-confenzionata detta dall'ennesimo Nobel o dalla più groupie d'alto borgo tra le Premiere Dame. Che gioia Paolo e Laura, e soprattutto lo psycho Emanuele...

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